Una specie di fulmineo mal di denti dell’anima
Ciao, come stai? | Pensavo di aver visto tua madre lo scorso fine settimana, al parco | "Dio si aspettava troppo da me." | Joan Didion | Bruce Springsteen, Nebraska | Stai andando bene, Fabrizio
Ciao, come stai?
È successo qualche sera fa. Stavo camminando verso il supermercato di via Meneghino dopo aver bevuto una birra in un locale da quelle parti alla fine della mia giornata di lavoro. Erano quasi le otto, il cielo ormai oscurato dall’autunno. Mi sono sentito un po’ solo, una sensazione improvvisa, una specie di fulmineo mal di denti dell’anima. Senza pensarci ho preso il telefono e ho chiamato un amico che stava aspettando una risposta importante. Abbiamo parlato un po’. La risposta non gli era ancora arrivata ma sembrava tranquillo. Ci siamo salutati. Poi ho chiamato un’amica che sta passando un periodo complicato. “Ciao f, che bello sentirti. Come mai mi chiami?” “Niente, volevo sapere come stai…”
Ho passato la mezz’ora successiva a passeggiare davanti all’ingresso del supermercato, il cellulare incollato all’orecchio, parlando con amiche e amici per sapere come stavano. Alcuni non li sentivo da un po’. È stato bello. Mi ha fatto bene e credo anche a loro.
Pensavo di aver visto tua madre lo scorso fine settimana, al parco
Nel corso della prima puntata di Giocare col fuoco live, lo scorso ottobre da Germi, abbiamo suonato un pezzo dei National, Light Years. È uno di quei brani che hanno su di me una specie di potere ipnotico, posso ascoltarlo quindici volte di fila e ogni volta mi fa accapponare la pelle. Un mix incredibile di melodia, testo, quel riff di piano che ti penetra il cervello per annidarsi proprio lì, dove sa che può far male. Il testo è piuttosto oscuro, procede per immagini, frammenti, ma mi sembra di aver inteso cosa volesse dire Matt Berninger, quando lo ha scritto. Il pezzo lo abbiamo suonato nei bis, quando il tempo della trasmissione era già scaduto, quindi non è andato on air. Lo abbiamo provato una sola volta nel sound check e poi ci siamo buttati – come per tutte le altre canzoni che abbiamo suonato quella sera, a onor del vero. Certo, avere al mio fianco un musicista come Marco Confalonieri rende tutto più facile, ma non c’è mai nulla di scontato quando si sta su un palco. Avevo voglia di farla sentire anche a voi. Qui sotto vi incollo il testo.
You were waiting outside for me in the sun
Laying down to soak it all in before we had to run
I was always ten feet behind you from the start
Didn't know you were gone 'til we were in the car
Oh, the glory of it all was lost on me
'Til I saw how hard it'd be to reach you
And I would always be light years, light years away from you
Light years, light years away from you
I thought I saw your mother last weekend, in the park
It could've been anybody, it was after dark
Everyone was lighting up in the shadows alone
You could've been right there next to me, and I'd have never known
Oh, the glory of it all was lost on me
'Til I saw how hard it'd be to reach you
And I would always be light years, light years away from you
Light years, light years away from you
Light years, light years away from you
Light years, light years away from you
“Dio si aspettava troppo da me.”
Stasera ho cenato guardando la seconda puntata di Unorthodox, una delle poche serie che non mi annoiano. Quando la protagonista ha pronunciato quella battuta, parlando della sua fuga dalla comunità di ebrei ortodossi di Williamsburg, NY, sono rimasto con le bacchette a mezz’aria (mi ero fatto degli udon). Il suo nome è Esty, se non ricordo male, è scappata da casa, dal marito, dagli obblighi religiosi che scandiscono ogni momento dell’esistenza di quelle persone. Eppure Esty non riesce ad accusare la sua gente – la nonna, il padre, il marito – e se la prende direttamente con Dio. Come se quel Dio non fosse un parto della fantasia di persone come quelle vissute secoli prima di lei. Ma quella battuta mi ha colpito molto anche perché siamo o siamo stati tutti in lotta con le aspettative di qualcuno nei nostri confronti – la famiglia, gli insegnanti, gli amici, la società, noi stessi. Ma pensare che esista un Dio che si aspetta qualcosa da noi vuol dire spostare tutta la faccenda su un piano superiore. Vuol dire rassegnarsi alla sconfitta, a non essere mai all’altezza. Mentre invece se c’è una cosa che ho capito della vita è che bisogna liberarsi dal senso di inadeguatezza, abituarsi a rispondere solo a se stessi, non farsi mettere in un angolo. Smettere di sentirsi inadeguati. Non esiste uno standard, nessuno può imporre regole a nessun altro. Nessuno è inadeguato. Ognuno è ciò che è.
Percorsi Americani #1: Joan Didion, L’anno del pensiero magico
Mancano giusto un paio di settimane all’inizio dei Percorsi Americani 2023/24: partiamo il 4/12 online e il 5/12 dal vivo, da Un locale palco cucina, con il libro qui sopra. Il tema che ho scelto quest’anno è l’eredità: l’eredità del sangue e della nazione in William Faulkner e Toni Morrison, l’eredità dell’amore e della perdita in Joan Didion, l’eredità di una comunità nei racconti di George Saunders e nel romanzo di Elizabeth Strout, l’eredità di un popolo nelle storie di Flannery O’Connors, l’eredità di una cultura e della famiglia in Philip Roth. Ecco nel dettaglio i titoli.
L’anno del pensiero magico, Joan Didion
Luce d’agosto, William Faulkner
Un brav’uomo è difficile da trovare, Flannery O’Connor
Il lamento di Portnoy, Philip Roth
Amatissima, Toni Morrison
Olive Kitteridge, Elizabeth Strout
Dieci dicembre, George Saunders
Ho letto alcuni brani da L’anno del pensiero magico in una delle scorse puntate di Giocare col fuoco. Ne ho preparato un estratto, lo potete ascoltare qui sotto, accompagnato dalle note di The Melody at Night with You, di Keith Jarrett, e in coda l’Habanera dalla Carmen di Bizet, interpretata da Maria Callas.
Tutte le informazioni sui Percorsi Americani le trovate a questo link. Grazie a quanti di voi si sono già iscritti, ho l’impressione che anche quest’anno metteremo insieme un bel gruppo.
My little sister’s in the front seat with an ice cream cone
Il prossimo appuntamento di Giocare col fuoco live sarà dedicato a Nebraska, il disco a mio parere più letterario di Springsteen. Registrato in casa su un quattro piste Tascam, è un album minimale, spettrale, diviso tra storie e ricordi personali e uno sguardo impietoso sul mondo. Appoggiandosi a un tessuto musicale scarno e a composizioni dalla struttura elementare, Springsteen ci conduce in una sua personale Spoon River ambientata nei sobborghi delle città industriali d’America. Queste storie, insieme ai rimandi ai fatti di cronaca e alla cultura popolare, compongono un affresco feroce della vita reale sullo sfondo del sogno americano. Vi canterò queste canzoni e racconterò questi personaggi nel modo più onesto possibile.
Stai andando bene, Fabrizio
L’anno scorso, verso la metà di settembre, un mio post sui motivi per i quali per la prima volta nella mia vita non avevo votato per il Partito Democratico è diventato virale. Nel bailamme furioso che è seguito, tra le altre persone sono stato contattato da un’agente letteraria: voleva sapere se avevo qualcosa di pronto da farle leggere perché – diceva – in Italia ci sono pochissimi scrittori uomini che hanno la mia stessa empatia. Ci siamo incontrati, poi le ho mandato un testo a cui stavo lavorando da tempo. Non era una versione definitiva, quindi d’accordo con lei mi sono rimesso al lavoro. E a mano a mano che ci lavoravo, la storia mi ha preso per mano e mi ha indicato la strada da seguire per portarla a termine, per portarla a casa. Così da quest’estate passo giorni di scrittura frenetica, con questi personaggi che si affacciano timidamente in un angolo della mia mente per poi delinearsi in maniera quasi automatica – a un certo punto so tutto di loro, cos’hanno fatto e perché, come si vestono, cosa pensano, da dove arrivano e dove vanno – alternati a giorni in cui non posso lavorarci per gli altri miei impegni oppure rimango inebetito a fissare la pagina bianca senza che nemmeno un briciolo di un’idea sgorghi dalle mie sinapsi. A volte dubito di riuscire ad arrivare alla fine, oggi invece sono in una giornata buona e sono quasi convinto di farcela. Adesso l’importante è finirlo, al resto penseremo dopo.
Vi lascio con questa foto scattata durante il sound check al Tambourine, qualche settimana fa. Ci vediamo di persona a uno dei prossimi appuntamenti, se vorrete.
Fate i bravi, se possibile. Se non è possibile, fate attenzione.
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