La linea della vita deriva tace s’impunta: la sostanziale conferma della mia ignoranza
Canzoni (e storie) nell’appartamento | Una poesia da un libro ricevuto in dono | Un documentario da vedere | Percorsi Americani | Un disco da ascoltare | Letture della buonanotte
Canzoni (e storie) nell’appartamento
Giovedì prossimo farò il mio ultimo concerto di questo 2023 così pieno di cose. Sarò ospite di Specie di Spazi, una piccola associazione culturale milanese, dove porterò in scena il mio Nelle vene dell’America, con letture e canzoni dell’America del Novecento: da Steinbeck a Eddie Vedder, da Dylan a McCarthy, da Springsteen a Faulkner e da Cat Power a Jesmin Ward e molti altri. Il concerto avrà luogo in una casa privata, come sempre per gli eventi dell’associazione, e ci sarà la possibilità di bere e mangiare, con un menù dedicato al sogno americano, quindi sarà una situazione di grande intimità. Io sono molto contento di chiudere il mio anno in un posto così perché sono sempre più convinto della necessità di slegare il più possibile le forme artistiche dalla logica dei grandi eventi e tornare a un rapporto più sano, naturale e di prossimità tra i performer, gli organizzatori e il pubblico.
Qualche sera fa sono passato da loro per conoscere il fondatore, Luca Zini, e dare un’occhiata allo spazio. Luca, nato a Brescia e cresciuto in Franciacorta, a Adro, si è trasferito qui in città nel 2017. Le iniziali intenzioni di aprire un circolo Arci sono venute meno, mi raccontava, a causa delle difficoltà burocratiche, così insieme ad alcuni soci ha optato per un’associazione basata nel suo appartamento. Da allora organizza piccoli eventi culturali con grande cura e attenzione.
Specie di Spazi è a Milano, in via privata Atene 6, zona via Padova.
La prenotazione è obbligatoria vista la situazione e il numero limitato di posti: cliccate qui per tutte le informazioni.
Una poesia da un libro ricevuto in dono
Tempo fa nella social street della zona in cui vivo è comparso un annuncio di una signora che voleva disfarsi di alcuni libri. Nella foto che ritraeva i volumi, due bei tomi di poesia pubblicati da un noto istituto bancario: Poesia italiana del Novecento, a cura di Ermanno Krumm e Tiziano Rossi, con prefazione di Mario Luzi; e Poesia delle Americhe - Ottocento e Novecento, a cura di Piero Gelli, con prefazione di Valerio Magrelli. Ho scritto subito alla signora e il giorno dopo sono passato da lei a ritirarli – li aveva infilati in un sacchetto di carta di una boutique, una gentilezza che avevo apprezzato. Nei volumi ho scoperto autori che non conoscevo, piccole delizie a me ignote in precedenza, e vi ho trovato sostanziale conferma della mia ignoranza, di cui sono sempre ben consapevole. L’altra sera una delle partecipanti all’appuntamento dal vivo su Joan Didion a un certo punto ha esclamato: “Sì ma come si fa a leggere tutto? Ci sono un sacco di autori che non conosco ma non ce la farò mai!” Esatto.
Tornando a noi, volevo condividere con voi una poesia di Luciano Erba, critico letterario, traduttore dal francese, docente di Letteratura francese e Letterature comparate alla Cattolica di Milano, poeta (Milano, 1922-2010). La sua opera omnia è stata raccolta da Mondadori nel 2002 nel volume Tutte le poesie.
Gli anni quaranta Sembrava tutto possibile lasciarsi dietro le curve con un supremo colpo di freno galoppare in piedi sulla sella altre superbe cose più nobili prospere cose apparivano all’altezza degli occhi. Ora gli anni volano veloci per cieli senza presagi ti svegli da azzurre trapunte in una stanza di mobili a specchiera studi le coincidenze dei treni passi una soglia fiorita di salvia rossa leggi «Salve» sullo zerbino poi esci in maniche di camicia ad agitare l’insalata nel tovagliolo. La linea della vita deriva tace s’impunta scavalca sfila tra i pallidi monti degli dei.
La settimana scorsa, da Germi, alla fine della registrazione dello Speciale Nebraska per Giocare col fuoco live, sono stato abbordato da un professore dello IULM che, oltre a farmi i complimenti per lo spettacolo, mi ha proposto in via del tutto informale di tenere una lezione ai suoi studenti.
Tra le altre cose era rimasto molto impressionato dal modo in cui avevo espresso un paio di concetti sul senso e sul significato della musica popolare. Ovviamente gli ho risposto che certo, mi interesserebbe. Stiamo a vedere, se son rose fioriranno. A me per il momento piacerebbe anche ricominciare a tenere le lezioni nei licei come ho fatto fino al Covid: arrivo munito di chitarra e guido gli studenti in un percorso nella letteratura e nella musica americane del secolo scorso. Quindi se c’è qualche docente tra di voi, accetto di nuovo e con gioia inviti di quel tipo: per le eventuali proposte, contattatemi rispondendo a questa mail.
Un documentario da vedere
Qualche tempo fa ho visto il documentario qui sopra e l’ho trovato molto interessante, e soprattutto mi ha fatto venir voglia di approfondire le biografie di alcuni personaggi di spicco della storia americana di cui si parla ampiamente. Innanzitutto bisogna dire che è tratto dal libro omonimo di Ibram X. Kendi, storico e attivista statunitense, che si è aggiudicato il National Book Award for Non-Fiction. Appoggiandosi ai contributi di altre storiche e attiviste, tutte donne, tra le quali Angela Davis, conduce un’indagine approfondita sulla storia dello schiavismo, sulla Guerra Civile, sulla fine apparente della schiavitù e sui comportamenti e le convinzioni di tanti abolizionisti a parole che nella vita privata si comportavano esattamente come i loro avversari. Io l’ho trovato illuminante e stimolante, magari farà lo stesso effetto anche a voi.
Percorsi Americani: buona la prima
Dopo i primi due appuntamenti dei Percorsi Americani 2023/24 su Joan Didion e L’anno del pensiero magico, mi sento preda anche io dell’effetto vortice di cui parla l’autrice, riferendosi alla velocità e all’imprevedibilità delle associazioni mentali partorite dalla sua mente. Due serate bellissime, grazie ai nuovi arrivati e ai veterani degli scorsi anni. Prossimo appuntamento alla fine di gennaio con Luce d’agosto di William Faulkner. Come sempre, informazioni e prenotazioni a questo link.
E visto che ormai manca poco al Natale, magari potete pensare di regalare una o più lezioni dei miei Percorsi Americani a quella vostra amica appassionata di letteratura, al vostro collega che non riesce a trovare un fidanzato o a vostra sorella e al suo compagno antipatico: la fatina delle buone azioni e io vi ringrazieremo per aver dirottato una piccola parte del giro d’affari natalizio dalle tasche dei grandi player in quelle di un cane sciolto della cultura come me. Per maggiori informazioni su come fare, rispondete pure a questa mail e vi spiegherò tutto.
Un disco da ascoltare
Sylvain Chauveau è un compositore francese, nato nel 1971 a Bayonne, sulla costa atlantica al confine con la Spagna (la voce su wikipedia dedicata alla città sottolinea tra le altre cose che tre personaggi di Fiesta del vecchio Hem si fermano a visitare la città sulla strada verso Pamplona). Chauveau è un compositore minimalista che mescola con grande gusto strumenti classici ed elettronica. L’ho trasmesso diverse volte come accompagnamento alle letture di Giocare col fuoco e credo possa risultare piacevole anche per voi, in un lento pomeriggio casalingo o in una serata da trascorrere sul divano, abbandonando per qualche ora la nostra dipendenza dagli stramaledetti smartphone. Poi di Spotify e delle ultime pessime novità vi scriverò in una delle prossime puntate.
Letture della buonanotte
Fin da quando mia figlia era piccolissima, di sera mi siedo accanto al suo letto e le leggo qualcosa. Negli ultimi tre anni ha sempre voluto che le leggessi le avventure del Petit Nicolas, di Sempé e Goscinny, ma da qualche mese abbiamo iniziato la lettura di Trenomania di Jaroslav Rudiš (EDT, traduzione di Anna Lovisolo). E stasera ci siamo imbattuti in questo passo che racconta il viaggio compiuto da Lenin nel 1917 per tornare in patria dopo l’esilio.
[…] Penso al viaggio di Lenin da Zurigo a San Pietroburgo. Nell’aprile del 1917 Lenin utilizzò la tratta attorno al golfo di Botnia per tornare in Russia dopo l’esilio in Svizzera.
Papà, cos’è l’esilio?
L’esilio è quando una persona viene cacciata dal proprio paese a causa delle sue idee politiche. In genere lo fanno i dittatori perché pensano che queste persone con le loro idee possano fargli perdere il potere.
E non possono più tornare?
In teoria no, nel senso che se rientrano nel loro paese vengono arrestati. Ma a volte ci riescono, anche se dopo che i dittatori sono caduti. Nel caso di Lenin, invece, fu proprio lui a far cadere lo zar, che era l’imperatore russo, facendo scoppiare una rivoluzione.
Scelse questo tragitto incredibilmente lungo, ma sorprendentemente veloce, di sicuro non a causa del pittoresco paesaggio. La via per la neutrale Svezia era infatti l’unica possibile per raggiungere la Russia. In Europa la guerra imperversava.
Papà, cosa vuol dire neutrale?
Neutrale vuol dire che non si schiera con nessuno. Ai tempi di questo racconto in Europa si stava combattendo la Prima guerra mondiale, e la Svezia non si era schierata con nessuno, quindi non era in guerra.
Ah, che bello vivere in Svezia…
Ma la lunghezza della tratta non fu per Lenin il problema maggiore. La questione cruciale era come sarebbe riuscito ad attraversare la Germania, un paese al momento in guerra con la Russia. Eppure furono proprio i tedeschi ad aiutare Lenin e addirittura a dargli dei soldi, pensando che la rivoluzione avrebbe indebolito il nemico.
Per una settimana Lenin e i suoi compagni viaggiarono sui treni da Zurigo a San Pietroburgo, passando per Francoforte e Berlino fino a Straslund. A Rügen presero un traghetto da Sassnitz a Trelleborg e viaggiarono poi via Malmö fino a Stoccolma, Haparanda e Tornio, che in quell’aprile faceva ancora parte del Granducato di Finlandia e quindi dell’impero dello zar e che, come l’intero paese, era alla vigilia della liberazione dal dominio russo. L’indipendenza sarebbe arrivata dopo la rivoluzione d’ottobre promossa da Lenin. La storica inglese Catherine Merridale ha scritto su questo viaggio un saggio che si fa leggere come un romanzo, uscito nel 2017 – cento anni dopo gli eventi – con il titolo di Lenin sul treno.
A questo punto Giorgina si volta verso il muro come fa ogni sera quando decide che è ora di addormentarsi. Io continuo a leggere ad alta voce per un po’.
A scuola, all’epoca nella Cecoslovacchia socialista, ci veniva insegnato che Lenin dovette viaggiare su un treno merci piombato. Quanto fosse stato pericoloso il viaggio e quanto coraggioso fosse stato Lenin. In realtà il viaggio si svolse in maniera più piacevole di quanto si possa pensare. Sia il punto di partenza, la Svizzera, sia il paese principale di transito, la Svezia, erano paesi neutrali, mentre la guerra stava distruggendo il resto dell’Europa; erano terreno sicuro. E non è vero che si trattò di un treno merci, era un vagone di un treno rapido. Non c’era molto spazio, è vero, così come è vero che in Germania il vagone fu piombato, ma solo in quel tratto.
Alla stazione centrale di Zurigo, prima della partenza i passeggeri si concessero un lauto pasto e in Germania furono offerte loro birra e sandwich. E più tardi trovarono da mangiare anche nella carrozza ristorante. In Germania il vagone fu agganciato ai treni normali, come una sorta di carrozza privata, mentre in Svezia il viaggio si svolse tutto su treni del trasporto regolare. Per il treno notturno da Stoccolma a Boden, nel nord della Svezia, i ferrovieri raccolsero addirittura del denaro affinché Lenin potesse passare la notte serenamente nel vagone letto.
Spengo la torcia del cellulare che uso per leggere nella stanza immersa nel buio, recupero il cuscino che posiziono tra la mia schiena e la parete e torno in sala per terminare la lettura del capitolo comodamente sdraiato sul divano. Lenin riuscirà a tornare in patria con l’aiuto di un macchinista finlandese, Hugo Jalava, che lo portò con sé sulla sua locomotiva a vapore opportunamente camuffato da fuochista. Nel 1977 la rock band austriaca Schmetterling (che a quanto pare vuol dire “farfalla”) gli avrebbe dedicato un brano dal titolo Jalava-Lied all’interno di un progetto sulla storia del movimento operaio. Finisco la lettura, chiudo il libro, lo appoggio sul mobiletto bianco accanto al divano che per trent’anni ha sostenuto il telefono grigio in bachelite nell’ingresso di casa dei miei e vado alla finestra a fumare una sigaretta. L’aria è secca, il freddo pungente. Magari stanotte nevica.
Anche per questa volta siamo arrivati alla fine. Fate i bravi, se possibile, e se non è possibile fate attenzione. Ci si vede in giro, per chi vorrà.
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Heartland è il mio ultimo disco. Lo puoi ascoltare qui:
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