Giocare col fuoco #6
Ogni sera, dalla mia finestra,
guardo la rotonda dello svincolo della statale.
Dopo aver mangiato, lavo i piatti,
poi mi verso un altro bicchiere di vino
e mi siedo accanto alla finestra del salotto.
Nell’oscurità, vedo i fari avvicinarsi,
e ormai so distinguere le auto, i camion,
le moto e anche i Tir,
prima ancora che le loro sagome entrino nell’alone luminoso
dei quattro lampioni appesi all’enorme pilone di cemento
che svetta al centro dell’aiuola.
I Tir sono i più belli, perché hanno le luci
anche sulla parte alta della cabina –
a volte sono gialle, altre sono rosse.
Sera dopo sera,
veicolo dopo veicolo,
io sono sempre qui, a osservarli
fino a notte fonda,
fino a quando non mi si chiudono gli occhi.
A quel punto decido come ogni sera
di veder passare altri dieci veicoli
prima di alzarmi dalla sedia e andare a letto.
Li conto sulle dita delle mani:
uno
due
tre
quattro
cinque
sei
sette
otto
nove
dieci.
Quando tutte le dita di entrambe le mani sono aperte davanti a me, vado a dormire.
*
Sembra che tutti si muovano,
che tutti abbiano una macchina, un furgone, un camion
per andare là dove hanno deciso – o dove devono – andare,
magari per lavoro.
Solo io sono sempre qui, immobile,
alla mia finestra, a studiare il loro movimento.
C’è una domanda che mi rode dentro,
ogni sera, notte dopo notte,
ed è quella che mi costringe a stare alla finestra
a guardare la rotonda dello svincolo della statale.
Chissà cosa si prova a muoversi, mi chiedo.
Chissà cosa si prova.
*
Quando mi alzo al mattino non è la stessa cosa.
Butto un’occhiata svogliata alla finestra del salotto
poi vado in cucina a prepararmi il caffè.
Ma di giorno, no, non è la stessa cosa.
Il cielo è chiaro, si vedono le sagome dei palazzi,
le luci e i fari dei veicoli sono accesi ma non illuminano,
non tagliano l’oscurità.
Di giorno c’è ben poco da immaginare.
È per questo che preferisco guardare la rotonda
dello svincolo della statale di notte.
*
Certe notti sogno di essere al volante
di un grosso Tir che trasporta mucche.
Le devo portare da una parte all’altra del paese
e guido tutta la notte, felice,
con la radio accesa e il thermos con il caffè
nel porta-bevande del cruscotto.
Ogni tanto mi accendo una sigaretta.
È primavera.
Abbasso il finestrino e lascio tutto il braccio fuori,
con le dita della mano ben aperte a sentire e a godersi il vento.
Poi al mattino arrivo a destinazione.
Una grande fattoria proprio sul bordo della strada.
Do un colpo di clacson e dopo qualche istante
esce un uomo in abiti da lavoro.
Io scendo dalla cabina e ci salutiamo calorosamente,
poi andiamo dentro, nella cucina della fattoria.
Il caffè è sul fuoco,
l’aroma si spande nella stanza
e mi penetra nei polmoni come una silenziosa benedizione.
Dopo mi sveglio.
Per qualche istante sento ancora nelle narici
il profumo del caffè,
poi riconosco il soffitto della mia stanza
e ogni cosa svanisce.
San Salvo (CH), estate 2013