Giocare col fuoco #2
La menzogna è il piscio dei sogni,
la strada scassata sulla via della ritirata.
È la fine dei segni, la schiena dei ragni;
lo sputo bavoso di un uomo deluso.
È la mano che stringe il colore che stinge,
il piede che arranca sulla strada non bianca.
È il sole venduto al prezzo di uno sputo,
l’amore che cola schiacciato dalla suola.
Un frutto maturo che esplode sul muro,
l’orrore che schianta la fame che canta;
la luce sbiadita di lampadina bagnata,
la zanna dell’orso – della mela, il torso;
la gioia del sasso, l’effrazione e lo scasso.
È l’amo uncinato al quale hai abboccato,
il timore illeso al quale sei appeso.
È l’osso del vecchio, il tuo viso nel secchio;
è l’urlo animale, la marcia nuziale;
è l’eco marziale sotto il temporale;
è lo schiaffo dell’onda, la pace che affonda;
è una scala salita senza via d’uscita.
Un urlo sul muro, che è molle ed è duro;
la rabbia del puro, il giallo sul nero.
È il silenzio che schiaccio, nella calura di ghiaccio;
il sole che brilla e uccide l’argilla;
è l’urlo che tace, l’istinto fallace;
è il sogno che splende, riluce poi si arrende.
Le sciabole sguainate, le costole denudate;
la croce che tace sotto il corpo che giace.
L’uscita di scena all’ora della cena;
la voce spremuta, schiacciata e accoltellata.
È il sasso nel mare, che non può che affondare.
***
Un mattino glorioso
irrompe danzando nelle mie finestre.
La stanza s’imbianca
di una luce sbilenca.
Il letto sembra galleggiare,
il cuore in petto palpita tranquillo, una volta tanto.
Nella casa di fronte
panni stesi ad asciugare ondeggiano felici
mentre una donna con le braccia nude
li appende uno dopo l’altro
al filo invisibile della mia gioia.
Magliette, pantaloni e canottiere
sembrano sorridere, fradici e colorati,
sulla facciata sdentata dei miei anni andati,
dei giorni persi e di quelli rubati,
dei minuti secchi,
succhiati da una vita carogna
e poi sputati fuori sul marciapiede,
nient’altro che ossa.
***
Lo scheletro del mondo
le costole spoglie dell’Appennino
che si innervano nella pianura.
Il vento che alcuni chiamano Dio
nel chiostro di una chiesa di montagna,
arrampicata sul crinale improvviso tra la pianura e il suo contrario.
La terra che calpesto con questi piedi ossuti
lo stupore delle gengive denudate da un sorriso.
Quel dolore nella schiena quando scende la sera.
La gioia splendente dell’origine del mondo
che accarezza la pentola sul fuoco
e si posa, graziosa, sul tuo giornale
sul tavolo della cucina.