Fede / speranza / carneficina / fiducia / televisione / i mesi a venire
Un preambolo dovuto
Innanzitutto, grazie a tutti voi che state partecipando a questo esperimento di produzione collettiva del mio nuovo disco. In una decina di giorni abbiamo già raggiunto un terzo del budget: è davvero una sensazione difficile da descrivere, quindi per ora me la cavo con un “grazie”, in attesa che mi si manifestino parole migliore. Se volete dare un occhio trovate tutto qui.
Fede, speranza, carneficina
Sto ascoltando Ghosteen di Nick Cave. Lo sto riascoltando dopo tanto tempo. L’avevo sentito per la prima volta durante il primo lockdown. Lo avevo fatto di proposito. Dentro di me c’era questa sensazione di lutto, di abbandono, un terrore freddo. Mi ero appena separato dalla madre di mia figlia, neanche il tempo di iniziare ad abituarci tutti a quella nuova misteriosa vita che ci attendeva che eravamo stati rinchiusi in casa. Giorgia aveva smesso di andare a scuola. Ero preoccupatissimo per lei. Tutta la sua rete di affetti era stata sospesa: le maestre dell’asilo (ragazze meravigliose), i suoi compagni, gli amici del parchetto, la nonna, gli zii e la zia. Non poteva vedere più nessuno. Poteva vedere solo la mamma e il papà. Ma non più insieme. Io non riuscivo più a lavorare. Ogni cosa sembrava aver perso senso.
Era una sera, mi ero sdraiato sul divano, avevo spento le luci e avevo fatto partire la musica. Una decisione coraggiosa, avendo letto di cosa trattava quel disco. Lo avevo fatto di proposito. Stavo iniziando a capire finalmente che ogni dolore può essere superato soltanto immergendosi nelle sue acque, con la testa sotto, trattenendo il respiro. Per poi aprire gli occhi e guardarsi bene in giro. Analizzare il dolore, sentirselo addosso, constatare i segni visibili e quelli invisibili. La sensazione di fallimento. Il rimpianto, istintivo, umano, inevitabile da un punto di vista emotivo. E quindi mi era sembrata la cosa giusta da fare. Se Nick Cave era sopravvissuto, sublimandolo nella sua arte, al dolore per la scomparsa del figlio, allora forse con il suo aiuto, con la sua musica, la sua voce, le sue parole, sarei riuscito a trovare col tempo anch’io un modo per venirne fuori, sempre sperando che il mondo nel frattempo non si dissolvesse, non si tramutasse in una serie di piccole gabbie nelle quali saremmo rimasti rinchiusi per sempre, prigionieri delle relazioni digitali.
Me la ricordo come una delle esperienze più forti della mia vita. Davvero. La voglia di alzarmi ogni due secondi e fermare la musica. Fino a quando non mi ero spostato dal divano al tappeto che occupa la gran parte di una delle due stanze che formano questa casa, e avevo lasciato che tutto mi piovesse addosso.
Ho deciso di riascoltarlo stasera perché da qualche giorno sono immerso nella lettura di Fede, speranza e carneficina, il libro di Nick Cave di conversazioni telefoniche realizzate con il giornalista Sean O’Hagan (La Nave di Teseo, trad. Chiara Spaziani). Stamattina ero in un centro medico, in attesa del mio turno per una visita di poco conto ma che la mia compagna ha insistito che facessi – in realtà me l’ha prenotata direttamente lei, davanti alla mia ritrosia (dico ritrosia ma forse sarebbe meglio dire: scarsa cura per me stesso. So avere molta cura delle persone che amo ma a quanto pare molto poca per me stesso. Accettarlo e chiedersi finalmente perché). Seduto in quella stanza con quelle altre persone, ho tirato fuori il libro dallo zainetto, ne ho estratto anche i miei occhialetti rossi da lettura, e ho continuato dove avevo interrotto la notte prima.
Il titolo è perfetto, perché è proprio di quello che tratta il libro: fede, speranza e carneficina. Faith, Hope and Carnage, nella versione originale, che suona ancora meglio. C’è l’abisso che può toccare ogni esperienza umana, ci sono l’eroina e un senso religioso inteso come l’ammissione della possibilità dell’esistenza di Dio, c’è la dedizione totale al lavoro creativo che si tramuta a sua volta in esperienza umana sfibrante ma in grado di aggiungere un livello del tutto nuovo all’esistenza.
Ho fatto la visita, sono uscito, ho provato a fare colazione senza riuscirci – in un bar il pos non funzionava, un altro aveva terminato le brioche, nel terzo c’era una tale folla al bancone che ho perso la pazienza dopo due minuti, e mi sono fatto ingoiare nuovamente dalla M2, Sant’Agostino, affinché mi riportasse a casa.
La notte scorsa sono stato svegliato alle 3:15 da una zanzara. Non so da voi ma qui da me c’è un cocciuto manipolo di zanzare che devono aver sviluppato un vello lanoso per resistere alle fredde temperature delle attuali notti milanesi. Mi sono alzato, ho bevuto un bicchiere di succo d’arancia, e sono tornato a letto, con occhiali e Nick Cave. Ho letto un altro centinaio di pagine.
E oggi mentre ero qui seduto a tradurre questo romanzo ambientato in Australia, non so perché ma mi si è formata nel cervello quest’idea. La scrittura è un ponte. L’arte è un ponte. E un ponte è un gesto di fiducia. È un invito a quelli dall’altro lato. Come dire, Incontriamoci a metà strada. Oppure posso venire io fino alla vostra sponda, non c’è problema, lo faccio volentieri. E poi mi è tornata in mente anche un’altra cosa, una mezza citazione che forse ho inventato di sana pianta, che nella mia mente recita così: “Un vero scrittore deve mettersi in mutande”. Potrebbe essere Bukowski, potrebbe essere Carver, potrei averlo inventato del tutto. Però mi piace. Vuol dire che per riuscire a stabilire un legame tramite l’arte con gli altri esseri umani è necessario svelarci nella nostra umanità più profonda. Perché è solo lì, in quel punto, che si può stabilire davvero un legame. Succede quando ci sentiamo davvero simili ai nostri simili. Succede quando qualcuno canta o scrive qualcosa che potremmo aver cantato o scritto noi, ma che non eravamo in grado di esprimere con quella precisione. E per farlo è necessario un gesto di fiducia.
Fiducia
E dopo tutti questi pensieri, ho finalmente capito un’altra cosa, che mi ha messo davvero di buonumore, in pace, sereno. Perché scrivo canzoni? Perché mi butto su un palcoscenico a dimenarmi come un cretino? Perché scrivo? Perché scrivo queste cose? Perché vivo così?
Perché ho fiducia. Ho fiducia in me. Ho fiducia in voi. E in tutto quello che ci rende simili.
“Mia vergine Baby Fiducia” cantava Manuel. Ecco, quella ragazza meravigliosa è tornata finalmente da queste parti. Cercherò di non darle motivi per andarsene, questa volta.
Televisione
Il giorno in cui il mio post sulle motivazioni per cui non ho votato per la prima volta il partito democratico è diventato virale, sono stato contatto da una giornalista di un noto programma televisivo che si occupa di politica. Mi volevano in trasmissione a discutere dei risultati elettorali con altri ospiti.
Io ho detto che non sono un politico né un politologo e che quindi quello di discutere con esponenti politici in televisione non è certo il mio ruolo. Ho detto che al massimo sarei intervenuto per leggere un estratto delle mie riflessioni, perché quello che avevo da dire l'avevo scritto in quel post, e poi me ne sarei andato.
Il giorno dopo mi hanno richiamato per dirmi che non se ne faceva nulla, e io mi sono sentito molto sollevato. La libertà non consiste solo nel poter esprimere ciò che si ha da dire, ma anche nel farlo nei luoghi che uno reputa appropriati.
Certo, con un disco in uscita e un singolo appena pubblicato, molti giudicherebbero questa scelta una follia. Ma a me interessa fare le cose nel modo che mi sembra onesto e sensato. E non mi sono mai sentito così libero come in questo momento della mia vita. Libero di scegliere, di dire sì o no. E poi io non ho neanche il televisore.
Il materiale dei mesi a venire
Ieri sono stato tutto il giorno in studio di registrazione. In metropolitana, tornando verso casa, riascoltavo i brani che abbiamo chiuso, scrutando le facce delle persone intorno a me, provando a immaginare cosa avrebbero detto di quelle canzoni, se le avessero ascoltate. Poi mi sono fermato a cena con due amici e tornando a casa sempre in metropolitana ho letto l'elenco dei ministri del nuovo governo. Sullo zerbino ho trovato due pacchi di libri. Sono entrato, mi sono versato un bicchiere di vino e ho cominciato a sfogliarli, uno dopo l'altro. Alla fine sono andato a letto con Black Tulips, il libro postumo di Trevisan. E stamattina mi sono alzato con un groviglio di pensieri in testa, un disagio anche fisico, una specie di tensione interiore. La rabbia, l'amore per le cose belle e giuste, un senso di inadeguatezza e di incapacità, la voglia di starmene zitto e di mettermi a urlare, tutto mescolato nello stomaco. Ecco, mi dico, questo è il materiale per i mesi a venire. Bisogna metterlo a frutto.
Heartland
Il disco è quasi finito. Cioè, un disco, come un qualsiasi lavoro artistico, è finito quando decidi che è finito, quando ti dici basta, va bene così, questa è la forma e questa la sostanza. E stabilisci che è pronto per andarsene in giro per il mondo e nella vita delle persone che vorranno accoglierlo.
Come alcuni di voi già sanno, uscirà in formato libro + cd. Il libro conterrà altre ai testi di tutte le canzoni, un po’ del materiale che ho accumulato in questi anni e che è figlio della stessa ispirazione e della stessa urgenza che anima le canzoni, incluse diverse poesie e alcuni testi più o meno autobiografici.
La musica sarà disponibile online, come già il primo singolo estratto dal disco, Roma Raccordo Anulare, ma i prodotti fisici li trovate solo sulla pagina del crowdfunding.
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Grazie per essere arrivato fino a qui, alla prossima
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