Droni, scarafaggi giganti, eclissi marziane
Sul mio cellulare posso vedere un drone che liquida una colonna di carrarmati. La ripresa dall’alto mostra la tattica che viene utilizzata in genere in questi casi, che si tratti di un attacco aereo o via terra: per primo viene distrutto il mezzo che apre la colonna, per arrestarla; subito dopo si passa all’ultimo, in modo da “intrappolare” i veicoli nel mezzo. Le immagini mostrano come dopo questa seconda esplosione, i carri nel mezzo prendono a muoversi come insetti in fuga, enormi scarafaggi impazziti in cerca di un riparo. Un paio di minuti dopo, anche gli altri carri sono in fiamme. Cinque in tutto. Ipotizzo che ognuno avesse a bordo almeno quattro uomini. Cerco su Google. No, in un carro T-72 “lavorano” tre uomini.
Sul mio cellulare posso vedere le immagini del rover spedito su Marte dalla Nasa. Si chiama Perseverance e ha ripreso e trasmesso una meravigliosa eclissi marziana, il passaggio davanti al disco solare di Fobos, uno dei due satelliti naturali del Pianeta Rosso. Comodamente seduto sul mio divano posso assistere al terribile spettacolo della morte e agli incredibili risultati scientifici che le tecnologie di cui disponiamo ci permettono di ottenere. Non so quanto sia distante Marte, a occhio e croce la stessa distanza che corre tra la guerra e l’umanità. Un carro armato costa diversi milioni di euro.
Lusso e libertà
Ieri sera ho suonato qualche pezzo prima del concerto dei Guignol, poi mi sono unito a loro per i bis. Pianoforte e voce. Una formula che mi piace sempre di più, e l’Arci Scighera ha un bel pianoforte e un bel palco. E pure un ottimo fonico. Sono uscito da casa soltanto con i fogli con i testi delle canzoni che forse avrei suonato, un lusso che un chitarrista non può permettersi. Ho preso la metro e poi il passante ferroviario. In mezz’ora ero dall’altra parte della città. Comodo, veloce, sostenibile. Un grande senso di libertà. E quando mi sono ritrovato davanti ai tasti bianchi e ai tasti neri, qualche ora dopo, di fronte a un bel pubblico, ho riprovato la stessa libertà. Scrivere è un lusso. Cantare è un lusso. Avere l’opportunità di suonare davanti a un pubblico è un lusso ancora più grande. E come ho detto introducendo uno dei pezzi che ho suonato, ho l’impressione che – e ovviamente parlo per me – gli anni che passano ti costringano a essere davvero ciò che sei. L’ineluttabile è diventare finalmente ciò che si è. Fine delle maschere, delle proiezioni e anche delle preoccupazioni sul modo in cui siamo visti, su cosa gli altri pensano di noi, su come giudicano quello che facciamo. Ecco un’altra grande forma di libertà. Concedersi di essere se stessi. Ma quello che siamo veramente, non la persona che pensavamo di essere o che volevamo essere.
Il mio piccolo paradiso
Perché la recinzione di ferro battuto
con quegli spuntoni maligni
e quattro lucchetti e una catena
che serra il pesante cancello?
Mi ci fermo di tanto in tanto
per vedere se non è chiuso
e spio tra le sbarre
file di bei fiori
e il viale alberato
striato di sole.
Un uccelletto ci saltella,
beato come una Pasqua, non si sa perché.
Incendio doloso
Le camicie si sono sollevate sul filo del bucato
di un vicino, un paio cercando di volare,
quando tre camion dei pompieri sono sfrecciati
per andare a salvare una chiesa in fiamme.
La gente che si allontanava dal rogo
con i vestiti della festa a brandelli
sembrava una troupe di spaventapasseri
che la banca aveva sfrattato dalla memoria.
Quanto al piromane, pensavamo a una delle due:
un ragazzo che sperimentava una nuova droga
o un reduce ubriaco adirato contro Dio
e la nazione per averlo reso storpio.
Da Charles Simic, Avvicinati e ascolta, trad. D. Abeni e M. Egan, Tlon edizioni. Consigliatissimo anche a chi non pratica la poesia ma ha voglia di provarci.
Not Dark Yet
Piove, finalmente. L’acqua batte sul mio lucernario, la magnolia si agita oltre la finestra. Sotto il gigantesco lampione che illumina la piazza, la pioggia si muove a folate nell’alone luminoso, portata dal vento. Ella Fitzgerald canta dal piccolo amplificatore portatile piazzato sul frigorifero, accanto al cesto della frutta – arance e banane. Giallo e arancione. Va tutto bene, fino a quando non decidi che niente va più bene. E ti rimetti di nuovo in strada.
L’algoritmo di Spotify fa partire “Not Dark Yet” di Dylan. E mi viene in mente una cosa che avevo scritto chissà quanti anni fa, ispirandomi in qualche modo a quella canzone. La cerco, la trovo. E la incollo qui.
Sono le sette di sera. Stai aspettando una telefonata, una lettera, un messaggio, un segno. Lo aspetti da ieri, da una settimana, da un anno. No, lo aspetti da tutta una vita. Mentre il tram sbuca da dietro l’angolo, sferragliando sui binari umidi di una serata di città come tutte le altre e come tutte le prossime a venire, ti stringi nella giacca, controlli di avere il biglietto ‒ perché, in fondo, sei una persona perbene ‒ e sali a bordo appena le porte ti si schiudono di fronte, come un confortevole utero materno in grado di cancellare tutta la fottuta città e lasciare solo il cielo su in alto, che stasera ha un taglio viola sul fondo, proprio lì, nel punto in cui il sole ogni sera esce di scena, lasciandoci il riverbero dei suoi colori per ricordarci cosa abbiamo appena perso ‒ cosa perdiamo alla fine di ogni giorno.
Stai tornando a casa, se si può chiamare così. La tua casa, in realtà, è un luogo che non esiste. E stai iniziando ad abituarti all’idea che quel posto non esiste, che la tua casa semplicemente non c’è, né in cielo né in terra. È solo un’idea da inseguire, un bisogno da colmare, da buttare fuori. E come tutte le cose che si inseguono, forse è un bene che non si possa raggiungere, per mantenere viva dentro di sé quella specie di nostalgia del futuro, non del passato, nostalgia di un tempo a venire, di una pace da trovare, di una voce che sia la tua e di mani che finalmente, la sera, durante l’ennesima sigaretta alla fine dell’ennesima giornata di troppe sigarette, assomiglino realmente alle tue mani.
Sei stato giovane ‒ lo siamo stati tutti. Lo hai sentito dentro quel bruciore che ti diceva cosa fare e soprattutto cosa non fare. Non volevi fare la fine di tutti quegli sfigati che vedevi in giro. Eri sicuro che non avresti fatto la fine di tutti gli sfigati che vedevi in giro. Anche loro, probabilmente. Dietro le loro rispettabili vite più o meno borghesi, hanno un momento di debolezza, la sera, o forse al mattino, magari nell’ascensore. Che cazzo. Ma che cazzo. Che ne è stato di me?
Sali sul tram, ti siedi sugli scomodi sedili di legno che ti piacciono tanto. Fuori dai finestrini case dell’inizio del secolo scorso. Passeranno anche loro. Passeremo. Ma non è ancora finita, ti dici. È fatto così, il tuo cuore, ormai l'hai capito. Quando sei a pezzi, quando ti sembra di non poter precipitare più giù neanche di un centimetro, ecco una luce, una voce, un segno, una carezza, un ricordo, una parola, un suono – qualsiasi cosa – e il cuore ricomincia a pompare sangue in tutto il corpo, il cervello si riaccende, le gambe fremono, i muscoli si tirano e si gonfiano, pronti a uno sforzo, uno qualunque, quello che in quel preciso momento ti sembra più di tutti necessario, fondamentale, urgente, vitale. Per non soccombere, per non crollare. Ma sì, fanculo. La vita è esattamente questo. Teniamocela stretta. E ti vien voglia di correre, di scendere dal tram e fermare tutti i passanti per gridargli che sei vivo. Cazzo, sì. Sono vivo. Sono vivo. Sono vivo.
Quando ci vediamo?
Vi lascio con qualche informazione di servizio. A maggio si concludono i miei Percorsi Americani con Furore, di Steinbeck, il 17 maggio in presenza da Germi (dalle 20, via Cicco Simonetta, Milano) e il 19 online (sempre dalle 20). Info e prenotazioni qui.
Qualche giorno prima, e cioè il 13, sempre da Germi porterò sul palco il mio spettacolo su Nick Cave: La storia segreta delle canzoni d’amore. Insieme a Giuliano Dottori leggerò alcune cose del nostro e suoneremo un sacco di canzoni. Tenete d’occhio il sito di Germi per le prenotazioni. Qui un vecchio video di presentazione dello spettacolo, quando lo facevo da solo.
Infine, tra pochi giorni va in stampa una nuova tiratura di Katana, il mio romanzo, come vi ho già detto. Prenotate qui la vostra copia.
State bene
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