Cari tutti,
da oggi e per una decina di puntate posterò alcuni audioracconti tratti da Heartland, letti da me su musiche scritte e registrate per l’occasione. Ognuno dei racconti è collegato a una canzone del disco. Iniziamo da Io che vado a fondo: qui il file audio e più sotto la canzone, da ascoltare dopo il racconto.
Ascolta il brano
Nel prossimo periodo sarò impegnato in Né in cielo né in terra, un concerto-reading tratto da Heartland. La parola scritta e quella cantata, una specie di percorso alternativo per arrivare allo stesso luogo dell’anima. Uno spettacolo lirico e coinvolgente, affilato e luminoso. Si parte il prossimo week-end dalle Marche.
Per chiudere oggi vi lascio con questi tre libri, e adesso vi spiego anche perché:
Tim Gautreaux, Gli scomparsi, trad. Chiara Baffa, minimum fax
Ho finito di leggerlo stamattina e mi ha lasciato addosso una certa inquietudine. Sembra una visione contemporanea del gotico sudista: seguiamo le vicende di una manciata di personaggi tutti in modo diverso toccati da un male arbitrario e definitivo, insensato e violentissimo. Un male che si annida tra le paludi e nell’animo degli esseri umani. Ma non è affatto un romanzo cupo, anzi, è una storia che indaga il modo in cui si può sopravvivere dopo essere stati toccati da quel male. Consigliatissimo.
Hayley Scrivenor, Città di polvere, NN editore
La mia prima traduzione per NN, e come sapete le prime volte non si scordano mai.
È una lingua volutamente opaca quella con cui Scrivenor ci accompagna all’interno del suo romanzo d’esordio. Fin dalle prime battute, si ha la percezione che ogni cosa potrebbe anche essere il suo contrario. Sebbene l’ambientazione non sia fraintendibile in alcun modo – la provincia australiana, fatta di grandi spazi e piccole comunità in cui le tare delle donne e degli uomini non possono rimanere celate troppo a lungo –, maneggiando la lingua con astuzia l’autrice riesce a confonderci, a sviarci. Lo fa lasciando la parola ai diversi protagonisti del romanzo, giocando con i registri linguistici – ogni personaggio ha la sua lingua, che ne rispecchia il carattere, l’attitudine e a volte ne cela i segreti –, in modo da dar vita a quella città di polvere in cui letteralmente ogni cosa, ogni verità, ogni sensazione, ne cela un’altra sotto di sé, nascosta da un velo sottile di terra che può essere spazzato via anche dal più leggero alito di vento. Ed è proprio questo che accade con il procedere della narrazione: la lingua di Scrivenor inizia a farsi acuminata, impietosa, netta, come un fiore dai petali neri e carnosi che sboccia improvviso e incongruo nell’outback. Uno svelamento progressivo che va di pari passo con le indagini. E anche le voci dei bambini, raccolte in quel “Noi” che sa tanto di coro greco, sebbene non si limitino commentare le vicende ma ne sono gli involontari e riluttanti protagonisti, si fanno più chiare a seguito di una graduale presa di coscienza che da individuale si fa collettiva.
Mario Luzi, La ferita nell’essere
Un itinerario antologico a cura di Valerio Nardoni. La mia copia faceva parte della Biblioteca di Repubblica, l’ho presa usata anni fa, l’edizione originale era Passigli. Ve ne lascio qui una.
Può essermi celato il pieno giorno,
può negarmelo un sipario
di materia e d’ombra
però flagra, matura,
canta
pur nel silenzio degli uccelli
di là da quel diaframma.
Eccola s’infiamma la raggiera
dai minimi spiragli,
s’incendia di straforo
nel nero della stanza
il semicerchio d’oro, clandestina
corona alla vittoria del mattino.
È estate.
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Buona Festa della Liberazione.
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